Caccia al patrimonio disperso della famiglia Martelli
Un Crocifisso in pietre dure in mostra presso la basilica di San Lorenzo
Presso il complesso della Basilica di San Lorenzo a Firenze, nell’ambito della mostra Pulcherrima Testimonia, tesori nascosti nell’Arcidiocesi di Firenze1, è esposto un importante crocifisso scolpito in pietra dura2 proveniente dalla pieve di San Giovanni Battista a Remole. È noto, sia pure solamente per testimonianza orale3, che il crocifisso fu donato alla pieve dalla famiglia Martelli, la quale per secoli fu molto legata alla pieve di Remole4 e che fino agli anni Settanta era proprietaria della vicina villa di Gricigliano5.
La consultazione degli inventari redatti nell’occasione delle visite pastorali e conservati presso l’Archivio Arcivescovile di Firenze ha consentito di restringere il campo dal punto di vista cronologico e collocare l’ingresso del crocifisso alla pieve di Remole al Novecento, in un arco di tempo che va dal 1935 al 1978. La prima data corrisponde infatti a un dettagliato inventario redatto in occasione della visita alla pieve dell’Arcivescovo e Cardinale Elia Dalla Costa6. In questo inventario il crocifisso in pietre dure non compare. La seconda data si riferisce invece alla scheda dedicata al crocifisso, compilata per conto della Soprintendenza fiorentina, che lo attesta alla pieve di Remole e che è stata redatta appunto nel 1978. È questa la prima, sicura attestazione della presenza a Remole di questo importante oggetto. A questo possiamo aggiungere il dato che nel volume La Chiesa di Firenze, pubblicato dalla Curia Arcivescovile nel 19707, il crocifisso non è citato tra le opere d’arte della pieve, mentre viene aggiunto alla nuova edizione dello stesso libro, edita nel 19938. Sulla base di questo secondo indizio si può ipotizzare (sia pure molto cautamente) che il crocifisso sia giunto a Remole negli anni Settanta. Del resto, a seguito della morte del padre nel 1945, le sorelle Martelli – Paola (1886-1963), Francesca (1890-1986) e Caterina (1895-1976) – vollero preservare la memoria della propria famiglia attraverso continue donazioni di parte del proprio patrimonio, in particolare a istituzioni religiose. E proprio agli anni Settanta risale la decisione di donare la villa di Gricigliano ai monaci benedettini di Fontgombault di Bourges.
La figura di Cristo, rappresentato vivo sulla croce, è finemente scolpita nel calcedonio carnicino di Volterra, usato proprio – come si può dedurre facilmente dal nome – per rendere il colore della carne, così chiaro ed omogeneo in questo caso, da assomigliare all’avorio, o al pane.
Il corpo di Cristo si staglia sulla croce rivestita in pietra verde e profilata in bronzo dorato. La croce si erge su una base mistilinea in legno, rivestita da specchiature in pietra verde profilate in bronzo dorato, e decorata con elementi a festoni e volute, anch’essi in bronzo dorato. Sulla base, all’innesto della croce, è il teschio di Adamo scolpito in calcedonio carnicino, purtroppo parzialmente mutilo della mandibola. L’insieme è di grandi dimensioni – l’altezza totale è 190 cm – e di altissima qualità. Si noti la raffinatezza del modellato del corpo, il sapiente uso di materiali diversi per i capelli, per la corona di spine e per il panneggio svolazzante del perizoma, trattenuto sui fianchi da una corda. Perfino gli occhi aperti, i denti e le stille di sangue sgorganti dalle ferite sono descritte con minuzia e straordinaria perizia tecnica.
L’esecuzione dell’oggetto è da collocarsi cronologicamente tra l’ultimo decennio del XVII e il primo decennio del XVIII secolo e da attribuirsi alle botteghe granducali9, dirette, a partire dal 1694, da Giovan Battista Foggini (1652-1725), “Architetto Primario della Casa Serenissima”10, il quale ebbe la supervisione della intera produzione delle officine granducali e che fu incaricato da Cosimo III (1642-1723) di aggiornare in senso barocco, in senso romano, il gusto fiorentino. Foggini collaborò con artisti che si specializzavano nella lavorazione di materiali diversi, dal legno, ai metalli, alle pietre dure. Fra questi, il maggiore scultore di figure a tutto tondo in pietra dura fu Giuseppe Antonio Torricelli (1659-1719), al quale si deve anche un trattato manoscritto, redatto nel 1714, nel quale sono illustrate le qualità delle pietre e le tecniche di lavorazione11. Il crocifisso di Remole appare di una tale qualità da poter essere attribuito al Torricelli, unico in questo giro di anni ad aver potuto eseguire un’opera di questa importanza e finezza. Per un confronto con l’opera di Torricelli, si veda l’ovale con l’Ecce Homo derivato da Guido Reni, eseguito in pietra dura e pubblicato nel catalogo della mostra Splendida minima, piccole sculture preziose nelle collezioni medicee: dalla Tribuna di Francesco I al Tesoro granducale che si tenne a palazzo Pitti nel 201612 e pubblicato di nuovo nel 2019, nell’edizione curata da Anna Maria Massinelli del trattato di Torricelli13.
Il rinnovato interesse per l’iconografia del Christus triumphans, vivo sulla croce, trova un prototipo primo nel celebre disegno di Michelangelo per l’amica Vittoria Colonna che rappresenta Cristo crocifisso, con gli occhi aperti rivolti al cielo, nell’istante in cui pronuncia le sue ultime parole prima di morire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»14 secondo il Vangelo di Marco e Matteo, o «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»15 secondo Luca. Vasari sembrò propendere per questa seconda lettura, descrivendo il disegno michelangiolesco con queste parole: «un Cristo confitto in croce, che, alzato la testa, raccomanda lo spirito al Padre, cosa divina»16.
La tipologia del Cristo vivente ebbe grande successo più tardi, tra il XVII e il XVIII secolo, sulla scorta di un perduto prototipo romano di Alessandro Algardi (Bologna 1595 – Roma 1654)17, e in ambito fiorentino si diffuse attraverso le opere di Giovan Battista Foggini, Massimiliano Soldani Benzi (1656-1740) e Bernardo Holzmann (del quale non sono note le date di nascita e di morte), tutti impegnati nelle botteghe granducali all’epoca di Cosimo III. Dell’invenzione dell’Algardi restano varie derivazioni, alcune di grande qualità, si veda ad esempio il magnifico Crocifisso eburneo del Museo Statale di Mileto.
A San Lorenzo, a pochi passi dalla temporanea collocazione del crocifisso in pietre dure oggi in mostra, si trova un altro splendido “Cristo vivente”, quello in argento, eseguito fra il 1723 e il 1726 per l’altar maggiore della Basilica di San Lorenzo dall’argentiere di corte Bernardo Holzmann18. Il Crocifisso di Holzmann segue il modello algardiano nella posa della figura, nella tipologia del perizoma, retto da una corda e mosso dal vento, e nei quattro chiodi, due per le mani e due per i piedi del Cristo. Piedi che dunque non sono rappresentati sovrapposti, ma uno accanto all’altro. Nella versione in pietre dure in esame, il chiodo è invece unico ai piedi, rappresentati uno sopra all’altro. Restano però paragonabili e simili al modello algardiano, l’atteggiamento del volto e del corpo, il perizoma trattenuto dalla corda, e la ventata che lo muove, sia pure con minor impeto rispetto alle versioni in avorio e in argento che abbiamo menzionate, anche a causa della diversità e difficoltà di lavorazione del durissimo materiale usato.
La combinazione di legno (in particolare ebano, o altro legno trattato per assomigliarvi), pietre dure e bronzo dorato è tipica dell’epoca di Cosimo III, ma la tipologia della croce con base mistilinea si trova riproposta in questi anni in materiali diversi. Si presta a un confronto tipologico e formale, anche per l’affinità al prototipo dell’Algardi per la figura di Cristo, il prezioso crocifisso in tartaruga19 esposto presso il Tesoro dei Granduchi a palazzo Pitti e pubblicato nel 1974 nel catalogo della mostra “Gli ultimi Medici, il tardo barocco a Firenze, 1670-1743”20.
Contando di poter in futuro risolvere i tanti nodi di una vicenda che resta in parte misteriosa e trovare un riscontro documentario alla tradizione orale e informazioni su questa importante commissione alle botteghe granducali, si invita a visitare la mostra in corso a San Lorenzo e ad ammirare questo particolare e notevolissimo oggetto che – se i documenti conforteranno le ipotesi – conferma ancora una volta la rilevanza della famiglia Martelli, a Firenze, ma anche nel contado, e lo stretto rapporto della famiglia con la corte medicea e con le botteghe granducali. Botteghe che hanno vissuto nei primi decenni del XVIII secolo una ultima straordinaria stagione creativa, volta al termine con la morte degli ultimi Medici, Cosimo, Gian Gastone e Anna Maria Luisa, Elettrice Palatina.
Si ringraziano per il prezioso aiuto Diletta Corsini e Riccardo Gennaioli.
Lisa Corsi
1 La mostra, organizzata dall’Arcidiocesi di Firenze e finanziata dall’Ente CR Firenze, è ospitata presso il Salone di Donatello della Basilica di San Lorenzo ed espone oggetti di arte sacra del territorio dell’Arcidiocesi fiorentina. La mostra è aperta dal 7 dicembre 2023 all’8 settembre 2024.
2 Pulcherrima Testimonia, tesori nascosti nell’Arcidiocesi di Firenze, catalogo della mostra a cura di Alessandro Bicchi ed altri, Edifir, Firenze 2023, p. 121.
3 Ibidem. Scheda OA 09/00128985.
4 È documentato che i Martelli abbiano donato opere d’arte e arredi sacri alla pieve di Remole a più riprese nel corso dei secoli, a titolo di esempio si veda la terracotta robbiana rappresentante il Battista donata alla pieve da Francesca e Caterina Martelli nel 1949 (La Chiesa Fiorentina, Curia Arcivescovile, Firenze 1970, p. 345).
5 Sulla villa di Gricigliano si veda il testo di Cristiana Danieli a questo link: https://www.associazioneamicicasamartellifirenze.it/gricigliano.html
6 Archivio Arcivescovile di Firenze, VP Dalla Costa, b. 18, f. 13.
7 La Chiesa Fiorentina, Curia Arcivescovile, Firenze 1970, pp. 344-345.
8 La Chiesa Fiorentina, Storia, Arte, Vita Pastorale, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1993, pp. 400-401.
9 Pulcherrima Testimonia, cit., p. 121. Scheda OA 09/00128985.
10 Riccardo Spinelli, Giovan Battista Foggini “Archietto Primario della Casa Serenissima” dei Medici (1652-1725), Edifir, Firenze 2003, p. 13.
11 De Lapidibus, il trattato delle pietre di Giuseppe Antonio Torricelli, a cura di Anna Maria Massinelli, Sillabe, Livorno 2019, p. 33.
12 Splendida minima, piccole sculture preziose nelle collezioni medicee: dalla Tribuna di Francesco I al Tesoro granducale, catalogo della mostra a cura di V. Conticelli e altri, Sillabe, Livorno 2016, p. 132.
13 De Lapidibus, il trattato delle pietre di Giuseppe Antonio Torricelli, cit., p. 33.
14 Vangelo di Marco, 15, 34. Vangelo di Matteo, 27, 46.
15 Vangelo di Luca, 23, 46.
16 Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, ed. a cura di Paola Barocchi, Firenze 1987, VI, p. 112. Sull’interpretazione dell’iconografia del Cristo vivente si veda Francesco Negri Arnoldi, Origine e diffusione del Crocifisso barocco con l’immagine del Cristo vivente, in «Storia dell’arte» n. 20, La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. 57-76.
17 Francesco Negri Arnoldi, Origine e diffusione del Crocifisso barocco con l’immagine del Cristo vivente, cit.
18 Elisabetta Nardinocchi e Ludovica Sebregondi, Il Tesoro di San Lorenzo, Mandragora, Firenze 2007, pp. 102-103. Il fasto e la ragione, arte del Settecento a Firenze, catalogo a cura di Carlo Sisi e Riccardo Spinelli, Giunti, Firenze 2009, pp. 112-113. Il Crocifisso del tesoro della Basilica di San Lorenzo, prima di essere restituito all’Holzmann su base documentaria, era stato erroneamente attribuito a Massimiliano Soldani Benzi e datato al 1688, si veda Klaus Lankheit, Italienische Barockplastik, die Kunst am Hofe der letzten Medici 1670-1743, Verlag P. Bruckman, Monaco 1962, tavole 163-164.
19 Confronto proposto già nella scheda OA del crocifisso in pietre dure n. 09/00128985.
20 Gli ultimi Medici, il tardo barocco a Firenze, 1670-1743, catalogo della mostra, CentroDi, Firenze 1974, p. 375.